Andiamo oltreoceano, precisamente verso la zona del Sol Levante alla scoperta del sampuru (o food sample). Qui in Giappone tra vetrine di negozi di arredamento, moda e tecnologie di ultima generazione ci imbattiamo in quelle dei ristoranti. Ma non parliamo di osservare gente che pranza ai tavoli, bensì di veri e propri piatti esposti in vetrina a mo’ di pubblicità.
Questa tecnica nasce in tempi piuttosto recenti rispetto alle altre sfaccettature della cultura millenaria nipponica. Torniamo indietro solo fino al 1932, quando il maestro Takizo Iwasaki ha realizzato un doppio prototipo di omelette di riso in cera. Anni dopo, la plastica è diventato il materiale principale nella realizzazione del sampuru.
Sampuru: cos’è e come si realizza
Il sampuru, dall’inglese sample, è la realizzazione in plastica di prototipi di piatti culinari, che saranno poi esposti nelle vetrine dei ristoranti quasi come se fossero un menù vero e proprio.
Ma come vengono creati? Da dove partire? Esistono delle ditte specializzate che, chiamati dal ristoratore, si recano direttamente sul posto assieme a un fotografo e altri assistenti. Qui, scortati dallo chef, entrano nella cucina e prendono appunti su come viene realizzato il piatto preso in esame. Dopo aver svolto questo tipo di procedura, il fotografo ingaggiato si occupa di fotografare da più prospettive la pietanza nel posto che sarà occupato dalla sua copia esatta realizzata in plastica.
Il lavoro sul posto è terminato: si passa così in laboratorio assieme al piatto, agli appunti e alle foto. Bisogna essere veloci nella creazione del sampuru, perché nel giro di poco tempo i colori perdono la loro consistenza originaria. Se ciò dovesse accadere, si dovrà ripetere tutto il processo a partire dall’inizio.
Un’arma a doppio taglio
Il sampuru non è un tipo di tecnica presente solo nel Sol Levante: questi menù tridimensionali sono molto diffusi anche in Cina, Corea del Sud e Taiwan. Inoltre, iniziano ad essere visti molto più frequentemente anche in ristoranti di cucina orientale in Occidente. Ormai è risaputo che nel mondo globalizzato tutto si diffonde a macchia d’olio.
C’è da dire, però, che questa innovazione è diventata anche un’arma a doppio taglio. Infatti, in diversi casi si sono verificate lamentele da parte dei clienti perché la pietanza che arrivava sulla loro tavola non era identica a quella vista in vetrina. Un incubo ormai per gli chef che sembrano essere costretti a cucinare una copia della copia. Paradossale, si potrebbe pensare. E’ diventato un problema non da poco, visto che gli stessi ristoratori si sono preoccupati di rivolgere delle scuse ed effettuare dei rimborsi per l’ “errore” commesso dal proprio chef.
Il sampuru ha rivoluzionato il modo di creare menù, anche se a livello di costi è molto più caro di un semplice cartaceo. Un singolo piatto-copia può costare dai 300 ai 1000 euro, mentre un interno menù addirittura fino a 10.000. Un’innovazione che, come ogni cosa proveniente dal Giappone, affascina milioni di persone provenienti da ogni parte del mondo.