Giovane, sardo, amante del cibo e dell’arte Francesco Pruneddu, @ch_ecco sui social, ci racconta come la sua passione per gli artisti fiamminghi e post-impressionisti si sia evoluta in una food photo dai toni rustici e “caserecci” in grado di far sentire il profumo dei suoi scatti.
Raccontaci chi è Francesco

Fa molto Marzullo (ride ndr).
Ho studiato all’istituto d’arte di Oristano, dove sono nato e poi mi sono laureato in triennale in lettere e conservazione dei beni culturali. In seguito ho preso la magistrale in storia dell’arte a Cagliari. Quasi contemporaneamente mi sono avvicinato alla fotografia, inizialmente da autodidatta, in concomitanza all’arrivo di Instagram.
Ho capito che mi piaceva e ho cominciato a studiare anche in quel campo, fortificando la mia passione. Inoltre, mi piaceva oltre che fotografare il cibo anche preparare determinate ricette, soprattutto i dolci e quindi è iniziata questa piccola sfida.
All’inizio su Instagram solo le food blogger americane avevano iniziato a lanciare questo trend mentre in Italia non c’era molto la moda di fotografare il cibo.
Prima non avevo il minimo equipaggiamento per ricostruire quei set così ricercati, poi con il tempo trovi i cosiddetti “props” quindi i fondali, il tavolo di legno e tutte le cose che servono a dare quell’aspetto un po’ rustico alle fotografie e quindi con tanto tempo e tanto esercizio si arriva un po’ a definire lo stile che ti rappresenta di più.
Com’è nata la tua passione per la fotografia e la cucina e come hai capito che sarebbe diventato il tuo lavoro?

Finché vivevo dai miei genitori vedevo mia madre che preparava i dolci ma non mi faceva toccare niente quindi, ho imparato guardandola.
Spesso mangiavo le crostate che mi preparava quando poi mi sono trasferito a Cagliari da fuorisede ho dovuto arrangiarmi e imparare a cucinare qualcosa che non fosse la pasta con il tonno (ride ndr). Per mia fortuna ho sempre avuto una buona manualità in cucina per cui mi sono limitato a chiamarla per farmi dare qualche consiglio sulle dosi.
Sulla base di questo dal momento in cui ho voluto cominciare a scattare foto ai dolci mi sono detto “dai tutto sommato una torta riesco a farla “ e da lì ho sfruttato questa cosa. Ovviamente, non nego di aver fatto qualche errore perché poi i dolci belli da vedere sono anche molto difficili da preparare, poi con il tempo, errore dopo errore, ho perfezionato anche qualche competenza il tanto che bastava per decorare una torta.
Qual è il piatto che ti ha ispirato a tal punto da farti avvicinare a questo genere?
Forse il piatto che mi ha ispirato di più e che ho replicato per primo è stata una banale torta da colazione poi quando mi sono sentito più sicuro, mi sono esercitato anche con la frolla sfruttando la mia creatività.
In un primo momento per studiare la macchina fotografica ho fatto anche tante fotografie di paesaggio ma non mi gratificava allo stesso modo, per quanto ci siano fotografi che di un paesaggio ne fanno una poesia. Il tipo di fotografia che faccio ora mi rappresenta perché è tutto fatto da me, dal set al dolce alla foto finale e quando riesci a portare a termine tutto questo e dire “si, mi piace“ dà molta più soddisfazione, per cui preferisco fare tutto io.

Quali sono i dettagli che fanno la differenza in una foto e quali sono gli elementi a cui presti più attenzione quando fotografi?

È una domanda che mi fanno spesso perché all’inizio è fondamentale avere una serie di strumenti che rendono credibile una foto.
Io per restituire quell’atmosfera rustica ho dovuto trovare i vari elementi. Il primo è stato il piano per appoggiare ad esempio la crostata, perché se tu l’appoggi su un tavolo moderno o un piano in vetro non riuscirai mai a restituire quell’atmosfera “da cucina”.
Poi mi sono accorto che anche le stoffe, il canovaccio, la forchetta sporca di frolla, il guscio d’uovo sono tutti elementi che nel momento in cui tu stai preparando un dolce ci sono e quindi anche all’occhio di chi guarda sembrerà naturale che ci siano, non sembreranno fuori posto perché fanno parte della preparazione del dolce.
Quindi è fondamentale innanzitutto inserire oggetti pertinenti alla scena. Poi con il tempo puoi inserire più elementi come, per esempio, i fiori che, in teoria, con la crostata non ci azzeccano nulla ma, se li sai inserire, riesci a fare intorno allo scatto uno storytelling con gli oggetti.
Purtroppo, si vedono spesso composizioni in cui le persone pur di riempire l’inquadratura inseriscono degli elementi un po’ casuali e osservandoli si può capire che c’è qualcosa che in quello scatto non funziona perché non è coerente e non è realistico. Ci deve essere studio finalizzato alla costruzione di una spontaneità.
C’è un fotografo o uno chef a cui ti ispiri??
Forse per chi come me arriva dalla storia dell’arte, credo che la fortuna sia, a parte essere ispirati da quello che ci circonda, quella di essere ispirato, per quanto riguarda il fondale, il tipo di luce e l’accostamento dei colori, da maestri e pittori che ho studiato per anni.
Non dico Caravaggio anche se mi piacerebbe (ride ndr) ma se proprio dovessi risponderti, allora ti direi i pittori fiamminghi quelli che proprio della natura morta e dello Still Life ne hanno fatto la loro cifra stilistica.
Se mi chiedi uno chef mi metti un po’ in crisi. Mi è capitato di lavorare con tanti chef, ho lavorato per due anni al campionato mondiale del Pasta World Championship di Barilla, ma gli chef hanno proprio un altro obiettivo rispetto a chi come me vuole ricostruire più la scena della cucina, un po’ buia o con una luce particolare anche un po’, passami il termine, fine a sé stessa.
Difficilmente sui profili degli chef troverai una luce così, piuttosto ci sarà il cibo molto vicino all’obiettivo e al massimo lo scatto può raccontare come è stato strutturato quel piatto ma non ci sarà il canovaccio umido o il ricettario pieno di farina.
Al livello compositivo manca un po’ lo storytelling quindi no, non c’è uno chef che mi ispira particolarmente anche perché oggi va molto la cucina gourmet. C’è un tipo di chef che mi piace ed è quello che punta alla convivialità che è proprio quella cosa che restituisce il momento dello stare insieme, del ritmo lento etc.
Ci sono alcuni chef che hanno capito che questa cosa fa presa sulle persone e in questo, mi sento di condividere questa cosa del cibo raccontato, vissuto e dello stare insieme.

Qual è il messaggio che cerchi di trasmettere con i tuoi scatti? C’è uno scatto a cui sei particolarmente legato?

È una domanda difficile. Dirti che voglio mandare un messaggio forse sarebbe troppo. Trovo estremamente gratificante poter creare qualcosa di mio, lanciarlo, pubblicarlo e vedere che funziona come occasione di lavoro. Non c’è un messaggio preciso. Mi piace sempre di più, oltre che scattare, anche parlare di cibo. Quando cominci ad accettare collaborazioni con le aziende devi anche studiare un po’.
Ci tengo a precisare che collaboro solo con aziende di cui conosco la filosofia ma che offrono un prodotto che io effettivamente consumo, non mi interessa guadagnarci e basta, mi interessa di più la sincerità.
Lo scatto che preferisco è indubbiamente la tavolata con le persone che mangiano dove in tanti mi hanno spesso accusato del fatto che mancava il cibo. Io ho sempre sostenuto di amare un tipo di food photography dove il cibo non sia l’unico protagonista ma mi piacciono gli scatti in cui il cibo è condiviso.
La tavolata con i piatti e le persone che mangiano a me parla di cibo e per me anche quella è food photography.
Cosa rappresenta per te lo Still Life e perché prediligi questo genere ad altri?
Penso che questa cosa dipenda dalla mia natura. Avendo scelto l’istituto d’arte in me la creatività è una necessità. Lo Still Life ti permette di mettere in mostra tanto di te nella costruzione della composizione, negli oggetti che inserisci etc.
Per questo mi rappresenta più di un paesaggio che magari preferisco inserire in un carosello di foto di cibo, perché so che amplia il racconto, lo completa e permette a chi guarda di fantasticare di più per contestualizzare quegli scatti.
C’è un genere pittorico-artistico in particolare a cui ti ispiri? Sappiamo che ti occupi di food e abbiamo notato per assonanze di luci e contrasti uno stile un po’ vintage sull’onda di Cézanne con la natura morta o di Van Gogh con i mangiatori di patate , è una scelta voluta?

Hai azzeccato (ride ndr). Tempo fa andava di moda, e spero che ritorni, il fatto di ricostruire e replicare fotograficamente alcune opere famose.
Io avevo pensato proprio ai mangiatori di patate di Van Gogh perché quella luce, quello stare intorno al tavolo poteva essere divertente da replicare e non necessariamente in un contesto opulento per cui ti dico che lo stile che forse mi affascina di più in assoluto è quello nordico dei pittori olandesi, più in là nel tempo anche i post-impressionisti al livello stilistico mi hanno sempre colpito.
Oscillo un po’ tra la dimensione sospesa con quella luce tagliente che entra dalla finestra e la composizione di un Cezanne o la velata malinconia di un Van Gogh.
Tovo sia bello da provare a restituire allo spettatore.
Magari non tutto lo colgono però si, devo dire che alla base c’è questo.
Quali sono le tecniche e i trucchi immancabili per far mangiare con gli occhi chi guarda le foto? Quali sono secondo te le difficoltà di questo stile fotografico?

Secondo me è fondamentale il contesto. Ti faccio due esempi: se fotografi una carbonara e vuoi che effettivamente sia desiderata devi fare la montagna di pasta, tieni il piatto e ti avvicini con l‘obiettivo perché vedi la crema, vedi il colore etc.
Per una crostata che invece non è una cosa che ti fa venire la bava alla bocca come una forchettata di carbonara, avviene un processo più lungo perché prima ne apprezzi la bellezza poi pensi al sapore che può avere, per cui è opportuno coglierla più da lontano.
Li subentra il famoso flat lay quindi la foto dall’alto con la crostata al centro e inevitabilmente gli oggetti intorno altrimenti la scena sarebbe vuota.
La cosa bella di Instagram è che ti permette di fare il “carosello” quindi una serie di post in cui puoi sviscerare il dolce o la pietanza che hai preparato che permette di accontentare un pubblico più vario da chi vuole vedere il cibo da vicino o la singola fetta, chi la composizione etc. e puoi “raccontare”.
La tecnica dipende molto anche dallo stile personale, ma, come posso dire, assecondare quello che stai preparando stilisticamente sicuramente ti aiuta.
Cucini e poi fotografi, qual è il segreto per scattare una foto meritevole dell’hashtag #foodporn e cosa pensi di questa tendenza social?
#Foodporn significa che tu davanti al piatto di spaghetti alla carbonara sicuramente vuoi far venire fame alle persone. Il foodporn è fatto per far venire l’acquolina in bocca, per far dire alla gente “lo voglio mangiare”.
È un tipo di fotografia un po’ controversa.
Si dice che nel foodporn non ci sia troppa ricercatezza e credo che l’obiettivo della food photography sia più personale tanto quanto lo stile quindi non mi rispecchio molto in questa tendenza.

Tra tutti, Instagram è certamente il social network che fa dell’immagine il suo elemento caratterizzante. Credi che su tale piattaforma vengano stimolate le capacità creative dei fotografi? O ritieni che questo aspetto della democratizzazione della fotografia banalizzi la professione del fotografo?
Un fotografo un po’ vecchio stampo avrebbe tanto da dirti in questo senso.
Sono tanti i fotografi che ritengono i social la rovina della fotografia per eccellenza.
Io credo che questi strumenti e la tecnologia digitale abbiano dato modo a tante persone di cimentarsi e scoprire un talento che magari non sapevano di avere e di distinguersi. Non tutti sono reputati bravi o hanno occhio, poi c’è chi grazie alla tecnologia e al digitale potrà spiccare ed emergere pur non avendo mai preso in mano una vecchia macchina fotografica.
Se dovessi dare un consiglio agli aspiranti fotografi di domani quale sarebbe?
Ti rispondo dicendo quello che dico durante i miei workshop. La cosa fondamentale è insistere tanto sia sulla composizione che sulla modifica della foto.
Oggi la post-produzione è fondamentale. Consiglio lo scattare tante volte la stessa composizione da diverse angolazioni e di modificarla in diversi modi proprio perché tornandoci dopo qualche giorno il nostro occhio leggerà tutte le modifiche in maniera diversa. Solo lì ci si può rendere conto degli eventuali errori e di cosa ci piace e soprattutto non ci piace. Per questo il consiglio che darei è di dedicare tempo allo studio.

Credit:
Martina Bovetta
Giulia Occhetti
Lorenzo Racchini
Giulia Sartori
Luca Truglia