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Intervista | Mondo Creolo: Destinazione futuro

Elena Ovecina di Fotocult ha scavato ancora più a fondo per conoscere un dei progetti firmati da Guido Fuà.

Quali sono state le sue idee, solide fondamenta di questo lavoro?

Mondo Creolo è una galleria di close-up che racconta il nostro Paese che cambia. Un progetto ricco di significato umano: distanze finalmente colmate, prospettive aperte e volti. Una curiosa miscela di affinità e differenze. Perché il mondo che verrà è un mondo permeabile.

Fisionomie indefinibili e affascinanti”, le chiama Guido Fuà nel testo che accompagna il suo progetto. Diversità attraenti, indecifrabili, magnetiche, così perfette da sembrare aliene, con tratti esotici eppure in qualche modo familiari.  La globalizzazione ha annullato la fatica della distanza. Universi che credevamo irraggiungibili, d’un tratto collidono. Paesi che erano come la-fine-del mondo, improvvisamente, sono lontani poche ore di volo. Concetti come “razza”, “straniero”, “identità nazionale” decadono: hanno contorni vaghi e fluidi, i loro significati evaporano. È impossibile, ormai, suddividere il mondo in bianchi, neri e gialli.  

Chi sono allora i creoli di Guido Fuà?

Un termine convenzionale, certo. Storicamente era riferito ai nati da unioni tra europei e indigeni dell’America meridionale. Ma è stato fatto proprio dal nostro autore e usato lato sensu, per descrivere il mix genetico e razziale sul suolo italiano, con una connotazione positiva che presuppone un’apertura al contagio culturale, che è poi uno dei concetti base dei principi fondante dell’Unione Europea. Perché possiamo guardare questi volti da vicino e farci ipnotizzare, oppure leggerci il nostro futuro. 

Il progetto fotografico Mondo Creolo di Guido Fuà mira a comporre un ritratto collettivo che dimostri l’eterogeneità del genere umano, attraverso essenziali close-up realizzati in studio con un 100mm e con uno schema di illuminazione a farfalla uguale per tutti i volti (diversi). Senza trucco, con punto di vista frontale, torso nudo: l’omogeneità della scelta stilistica – anche in fase di postproduzione – facilita l’osservazione delle differenze fisiognomiche di ciascuno dei volti di uomini e donne creoli fotografati.

Perché hai scelto di esplorare il “mondo creolo”?

Noi italiani siamo un popolo atavico di creoli. Mille popolazioni hanno attraversato la penisola lasciandoci in eredità brandelli delle proprie culture. In fatto di “creolità” gli italiani la sanno lunga senza esserne coscienti. Io stesso ho delle accertate origini egiziane indietro nei secoli. Quindi un po’ è la mia memoria genetica ad avermi spinto in questa direzione. Da ventenne poi, durante un viaggio in America, ho osservato il melting pot statunitense. Da lì è nato l’interesse per i flussi migratori e l’integrazione.

Continuando la ricerca sul mix etnico e culturale in patria ho avvertito però l’esigenza di andare oltre. Per questo ho voluto coinvolgere persone nate sul suolo italiano e già perfettamente integrate. Per trovarle, mi sono servito del passaparola. Ho cominciato con amici di amici: italo-asiatici, italo-brasiliani e via di seguito fino a realizzare oltre 40 ritratti. La mia ambizione è arrivare a farne un centinaio e raccoglierli in un libro. 

Vuoi dirci qualcosa in più della standardizzazione del ritratto antropologico?

Antropologico, ma anche un po’ surreale: non sono ritratti crudi, ma close-up curati. Ho usato per tutte le foto un 100mm e ho avvolto i soggetti nella stessa luce, cambiando soltanto leggermente in pianta centrale l’inclinazione del volto per evidenziare i tratti peculiari dei vari soggetti. Sei luci sono disposte in uno schema a farfalla, che viene montato ogni volta per l’occasione, dato che lavoro in questa chiave da diversi anni. È questa la difficoltà maggiore e il vincolo che mi rallenta, perché sono loro a doversi recare da me e non viceversa. La postproduzione interessa singolarmente ogni scatto. Procedo con gli stessi passaggi chiave, ma senza ricorrere ad azioni preconfezionate; comunque nulla che stravolga quanto ottenuto in ripresa.  

E il trucco? Lascio decidere al modello, che nella maggior parte delle volte sceglie di restare così com’è nella vita reale. Non mi avvalgo di una truccatrice. Finora, solo un paio di ragazze si sono truccate, solo perché è una loro abitudine personale.  

Cosa pensi di ciò che sta avvenendo oggi in Italia?

È una società complicata, ci sono dei percorsi migratori trasversali, dei flussi che vanno incanalati. L’identità di nazione non c’è più, la società va verso una dimensione sovranazionale, e anche se i cambiamenti non sono mai totali e assoluti, mi pare che il futuro sia già annunciato. Una forma di convivenza deve essere trovata. Solo in questo momento si stanno ponendo in Italia le basi per una società interculturale, condizione già portata a compimento in altri Paesi. Da noi c’è un ritardo: gli extracomunitari spesso si trovano a dover tollerare ruoli umili. Ma un cambiamento è indispensabile. I figli di matrimoni misti avranno già possibilità diverse, e io credo sia un bene che la società abbia un ricambio.  

Tra i ritratti dei creoli ci sono anche i tuoi figli, Luca Hiroki e Andrea Yuki. Ho conosciuto mia moglie, Michiru Hamada, a un corso per sommelier. Stavo facendo un servizio sulle donne giapponesi arrivate in Italia per imparare l’eccellenza del Made in Italy. Difficile capire cosa le sia passato per la mente: un fotografo è un cattivo investimento; lei, invece, è una brava moglie e mamma. Come vedi, al momento della comparsa del mio interesse per i creoli, non era ancora in cantiere il matrimonio né i figli, quindi è uno di quei casi in cui il racconto diventa realtà e non viceversa.

Chi è Guido Fuà?

Guido Fuà è un fotografo professionista e docente di fotografia all’associazione Officine Fotografiche di Roma,  nonché fondatore e direttore dello studio Eikona. Le sue immagini prendono come punto di partenza lo storytelling, per arrivare a esplorare i temi che gli stanno più a cuore, e cioè l’integrazione, la diversità culturale e i cambiamenti in atto nella società odierna. Ha all’attivo diverse mostre personali e molteplici pubblicazioni (Il Venerdì di Repubblica, XL, Style, L’Espresso, Panorama, Max, Sette, D – La Repubblica delle Donne, Donna Moderna, Io Donna, Gioia, Gente). È sposato con Michiru Hamada che viene dalla terra del Sol Levante e ha due figli che ha voluto ritrarre insieme agli altri creoli.  Il progetto Mondo Creolo va avanti. 

https://www.facebook.com/mondocreolo

Progetto| Creoli: Nuovi volti di un’Italia multietnica

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