Intervista a Guido Fuà sulle varie tipologie di ritratto per la rivista Progresso Fotografico.

Sono particolarmente legato a quest’immagine. Anche se non sembra, è un ritratto nato dal compromesso fra un’idea creativa e i desideri dei soggetti fotografati. Era una mattina piovigginosa quando mi sono incontrato con i “Uochi Tochi”, gruppo della scena musicale underground italiana. Sotto quella pioggerellina fastidiosa esordirono dicendomi che non volevano assolutamente essere fotografati in modo riconoscibile, perché rifuggivano da qualsiasi tipo di etichettatura o identificazione. Quindi, ideologicamente non erano d’accordo a rendersi individuabili.
Non avevo ancora preso il caffè, forse per quello ho ritardato ogni rimostranza, anche se mi stavano già complicando di brutto la giornata. Sapevo solo che XL mi aveva commissionato i loro ritratti ed in qualche modo questi sarebbero arrivati sul tavolo della redazione.

Nessuna pianificazione, nessuna idea preconcetta, tabula rasa: alle volte si lavora bene anche così. Sempre che l’assenza di un progetto sia sostenuta da una determinazione di ferro, una grande esperienza e padronanza tecnica. Come quando si gioca alla roulette, la mia scelta cadde sull’ambientazione della stazione di Centocelle.
Chi dice di far parte della cultura hip hop, quasi al 100% ha con se materiale per lasciare dei tag in qualche angolo sperduto del tessuto urbano. Quindi, gli chiesi di disegnare con un pennarello le sagome a mezzobusto sul cartellone già taggato di suo. L’equazione: paesaggio urbano, tag e graffiti, stazione, l’anonimato come mi avevano chiesto, ironia, l’opposizione colori accesi e tinte marroni-beige, la simmetria della costruzione. Si fusero insieme in uno dei miei ritratti migliori, che raccontava senza che si vedesse il volto delle persone.
L’immagine seguente, dove si vedono le facce dei due personaggi del gruppo, non sarebbe esistita senza la prima. Frutto di una fiducia conquistata con il rispetto e la creatività. I casi della vita poi sono misteriosi: due anni dopo, in maniera del tutto casuale ho aperto il mio studio a cento metri da questa location.
Il ritratto dell’angoscia esistenziale
Tutti i fotografi che si rispettino si sono nutriti della grandezza di artisti illustri che li hanno preceduti. Ispirarsi, non copiare, è indispensabile e non soltanto all’inizio della propria carriera, ma anche successivamente.
Caravaggio, Rembrandt, per lo studio dell’utilizzo pittorico della luce. Robert Mapplethorpe e Jean Loup Sief per l’amore sensuale del corpo umano. Richard Avedon e Steve Mcurry per un certo tipo di ritratto antropologico e come precursori del close up. Irving Penn per l’espressione e i tratti caratteriali che era in grado di fissare nei suoi ritratti. Ralph Gibson per il gioco grafico delle sue figure.
Solo per citarne alcuni, hanno animato il mio interesse per la fotografia fin dagli inizi. Le due immagini in bianco e nero, sono state scattate all’inizio degli anni 90’ e segnano per me idealmente il passaggio da una fase hobbystica ad una professionale, quando la ricerca si è fatta professione, nel bene e nel male. Dietro queste immagini realizzate con delle tecniche di illuminazione piuttosto semplici. Ciò che conta realmente è la libertà di pensiero e l’idea fondante, l’intenzione significativa.

L’uomo africano doveva esprimere tutta l’angoscia esistenziale, la perplessità attonita di fronte alla questione del colore della pelle, delle problematiche razziali che hanno afflitto i neri in secoli di deportazione, segregazione e discriminazione. La seconda (che ho soprannominato “L’anfora”) doveva essere uno studio di nudo in grado di rappresentare con una serenità e una perfezione formale classicheggiante la bellezza, la calma e la forza secolare e radicale delle donne africane, simbolo della Madre Terra.
Ritratto close-up e a mezzo busto
Per ritrarre un personaggio, lo si può fare anche stringendo sul volto, con un close-up o un piano mezzo busto. Come le tre immagini frutto di tre diversi input. Un ritratto di Caparezza commissionato per un servizio interno di XL, un ritratto per una lezione sul ritratto maschile ad Officine Fotografiche, una prova tecnica luci con mia moglie in preparazione del set di un servizio di copertina con Fabri Fibra.
Sono ritratti puri, sospesi nel vuoto formale di uno sfondo neutro, centrati sull’espressione e lo sguardo. Il personaggio è lì, senza scampo né appigli.

Anche se gli schemi di luce possono essere molto diversi, sottolineando l’atmosfera generale in modo più o meno drammatico o neutrale. Gli elementi che vengono messi in risalto appartengono indiscutibilmente al soggetto. Diversamente dai ritratti precedenti, dove la figura fa parte di un insieme o rappresenta un’idea in una certa misura, se fosse sostituita con un altra simile, l’idea espressa sarebbe la stessa.
Ottenere un buon risultato in un close-up non è così immediato e semplice come possa a prima vista sembrare. Digerite le influenze ispiratrici (per i close-up, Martin Schoeller), sperimentate le varianti tecniche di illuminazione. Siete voi e il soggetto che dovete fissare e far uscire fuori dalla foto.
L’arte del saper improvvisare
A volte, invece, è necessario pianificare per ottenere un risultato migliore. Informarsi sui soggetti che si devono fotografare può rivelarsi una risorsa indispensabile per trovare una soluzione ad eventuali difficoltà in corso di

realizzazione. Nel caso degli interpreti del film “La solitudine dei numeri primi”, (Alba Rohrwacher e Luca Marinelli) ho avuto il tempo di vedere in anteprima il film. Circostanza che mi ha salvato poi durante gli scatti.
Per mancanza di coordinazione fra produzione, ufficio stampa e redazione, gli attori si sono presentati allo shooting senza abiti particolari, lui in bermuda di ritorno dal mare e lei con un anonimo vestitino vintage. Niente stylist, niente MUA né parrucchiere… e una copertina del venerdì di repubblica da realizzare.
La mia proposta è stata tanto secca quanto immediata: “Vi posso fotografare soltanto nudi!”. E, per contrasto, in un abbraccio tenero ed universale, che nel film non si realizza mai, perché i protagonisti si sfiorano senza incontrarsi. I numeri primi, aggiunti in post-produzione, sono assenti nella versione dell’immagine per la copertina.
Street style
Se non vi siete mai fatto un giro nelle zone dell’hinterland napoletano (Scampia, Secondigliano e Marianella), non potete capire la sensazione di trovarsi in una zona di frontiera, dove il resto d’Italia è lontana anni luce.

Quando ho incontrato i “Co’ Sang” (con il sangue), gruppo hip hop italiano fra i più convincenti e veri, ho capito che volevo realizzare un ritratto che fosse come un pugno allo stomaco (un calcio, meno metaforicamente).
Grazie al rispetto che godevano nel territorio è stato possibile piazzare qualche punto luce Profoto con generatori a batteria, indisturbati fra tossici e membri incuriositi del “sistema”. Sdraiati sull’asfalto bollente di un campo da pallacanestro rionale, che nulla aveva da invidiare ad analoghi luoghi nei projects del Bronx, ho realizzato una delle immagini del servizio. Uno dei servizi urbani più eroici in cui sia mai stato coinvolto.
La giornata, finita in una sceneggiata di finte esecuzioni camorristiche e con la partecipazione di folta schiera di personaggi locali, partecipanti ai ritratti in veste di posse di simpatizzanti è ancora viva nel mio ricordo. Un ritratto fra finzione e realtà.